TRIBUNALE CIVILE DI LECCE Il Giudice onorario avv. Alida Accogli, letti gli atti ed i verbali di causa, sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 13 gennaio 2016, Osserva Il giudizio ha per oggetto l'applicazione di sanzione amministrativa pecuniaria comminata dal Ministero delle politiche agricole, ai sensi degli articoli 2 e 3 della legge n. 898/86, a Ciullo Francesco, legale rappresentante di Agritur s.r.l., per supposta fittizieta' di operazioni commerciali (cessione di una partita di olio da parte di Natali Salvatore alla societa' Agritur s.r.l.). Il Tribunale di Lecce, Seconda Sezione penale, occupandosi del medesimo fatto storico contestato a diversi imputati tra cui lo stesso Ciullo Francesco (frode comunitaria) con sentenza n. 1460/2014 emessa nell'ambito del procedimento penale n. 218/2011 R.G.T. e' pervenuto alla declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Non e' superfluo rilevare che il giudizio penale appena citato ed il presente contenzioso oppositivo a sanzione amministrativa ancora sub iudice hanno trovato fonte probatoria nell'attivita' d'indagine svolta dalla Guardia di Finanza, volta alla repressione della illecita percezione di aiuti comunitari correlati a fittizia produzione olearia. Le risultanze delle indagini hanno poi dato vita a due filoni d'inchiesta, quello penale conclusosi con sentenza accertativa della prescrizione del reato, ed il presente contenzioso oppositivo a sanzione amministrativa. Trattasi all'evidenza di stesso fatto storico naturalisticamente inteso, sfociato nella richiesta di doppia sanzione, penale ed amministrativa. Premesso quanto innanzi, questo Tribunale dubita della legittimita' costituzionale dell'art 3 comma 1 della legge 23 dicembre 1986, n. 898 e dell'art. 649 del codice di procedura penale con riferimento sia all'art. 117 primo comma Cost. sia all'art. 4 del Protocollo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Recita l'art. 3, comma 1 legge 23 dicembre 1986, n. 898 «Indipendentemente dalla sanzione penale, per il fatto indicato nei commi 1 e 2 dell'art. 2 nell'ambito di applicazione delle misure finanziate dal Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), il percettore e' tenuto in ogni caso alla restituzione dell'indebito e soltanto quando lo stesso indebito sia superiore a euro 51.650,00, al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, pari all'importo indebitamente percepito. Nell'ambito di applicazione delle misure finanziate dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), indipendentemente dalla sanzione penale, per il fatto indicato nei commi 1 e 2 dell'art. 2 il percettore e' tenuto alla restituzione dell'indebito nonche', nel caso in cui lo stesso sia superiore a 150 euro anche al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria...». L'art. 649 del codice di procedura penale sancisce che «L'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non puo' essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 commi 2 e 345. Se cio' nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo». L'art. 117, comma 1 Cost. prevede che «La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». L'art. 4 del Protocollo 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali recita: «Nessuno puo' essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale e' gia' stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta. Non e' autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell'art. 15 della Convenzione». A questo punto si pone il problema di verificare se la legge speciale (art. 3, comma 1, legge 23 dicembre 1986, n. 898) presenti profili d'incostituzionalita' con l'art. 117, primo comma Cost. e con il Protocollo della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali che vietano la legiferazione di norme interne in contrasto con l'ordinamento comunitario e l'avvio di un nuovo procedimento giudiziario in relazione a fatti precedentemente giudicati con pronuncia irrevocabile. Ne' di supporto solutorio appaiono le sentenze della Corte di cassazione a Sezioni unite n. 37425/2013 e n. 40526/2014, che negando l'applicazione del c.d. principio di specialita' della norma tributaria su quella penale, hanno ribadito che il principio «non trova applicazione per le sanzioni amministrative e penali previste rispettivamente dall'art. 13, comma 1 decreto legislativo n. 471/97 e 10-bis e 10-ter decreto legislativo n. 74/2000, dovendosi, in tali ipotesi ritenere piuttosto la sussistenza di una progressione criminosa sul presupposto che la fattispecie penale costituisce in sostanza una violazione molto piu' grave di quella amministrativa e pur contenendo necessariamente quest'ultima, la arricchisce di elementi essenziali che non sono complessivamente riconducibili al paradigma della specialita', in quanto, creano decisivi segmenti comportamentali che si collocano temporalmente in un momento successivo al compimento dell'illecito amministrativo. Di conseguenza, illecito penale e illecito amministrativo concorrono e andranno applicate sia la sanzione penale sia quella amministrativa». Il problema appare ulteriormente arricchirsi dal fatto che l'imputato Ciullo Francesco non veniva assolto dal reato ma semplicemente attinto da pronuncia di intervenuta prescrizione del reato che, come e' noto, prescinde dalla disamina del merito dei fatti sottoposti al vaglio del giudicante. Cio' nondimeno, a parere di questo Tribunale, militano non pochi argomenti per censurare d'illegittimita' l'art. 3, comma 1, legge 23 dicembre 1986, n. 898 e l'art. 649 codice di procedura penale con l'art. 117, primo comma Cost. e con l'art. 4 del Protocollo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. In primis soccorre il divieto del ne bis in idem che la disposizione contenuta nell'art. 649 del codice di procedura penale limita soltanto ad un nuovo procedimento penale: «L 'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non puo' essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto ...». La norma, invero, dovrebbe essere riformulata contemplando piu' semplicemente il divieto di risottoporre il soggetto ad altro procedimento, non solo penale ma a qualsiasi altro contenzioso, anche di matrice civilistica, come il caso sottoposto a questo Tribunale, applicativo di sanzioni amministrative. In tale ottica si armonizzerebbe l'art. 649 del codice di procedura penale con l'art. 4 del Protocollo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali che recita: «Nessuno puo' essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale e' gia' stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato». A coloro che dovessero obiettare che la norma comunitaria limita l'applicazione ai reati per i quali e' intervenuta pronuncia di assoluzione, escludendo quelle di proscioglimento (come il caso Ciullo, di estinzione del reato) e' dirimente osservare che la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali nella dizione «assolto» ha voluto fare chiaro riferimento ad un evento inteso nel suo aspetto fenomenico e non soltanto al fatto-reato nella dizione codicistica italiana. A tale soluzione si perviene ripercorrendo le tappe argomentative della sentenza della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali Grande Stevens contro l'Italia in cui si afferma, in via riassuntiva, che la qualificazione giuridica data dallo Stato italiano all'illecito penale ha solo valore formale e relativo, rilevando piuttosto l'aspetto materialistico e fenomenico dell'evento sottoposto al vaglio del giudicante, fatto storico che pur assurgendo ad illecito penale o civile in base al diverso disvalore sociale, resta pur sempre evento nella sua articolazione fenomenica, con la conseguenza che una volta che il giudice penale officiato di maggiori approfondimenti, per via della superiore offesa profusa al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, perviene e definire la controversia con pronuncia anche di mero rito, come la declaratoria di prescrizione, si operera' in favore del soggetto attinto da siffatta enunciazione definitoria uno sbarramento processuale che impedisce il prosieguo o l'avvio a suo carico di altro e nuovo procedimento per gli stessi fatti gia' delibati con sentenza irrevocabile. Le due norme pertanto (art. 3, comma 1 della legge 23 dicembre 1986, n. 898 e art. 649 c.p.p.) appaiono incostituzionali perche' violano il precetto costituzionale (art. 117 comma 1) che rinvia alle fonti comunitarie primarie (l'art. 4 Protocollo 7 CEDU) a cui l'ordinamento italiano deve percio' uniformarsi. Orbene, non sembra che la fattispecie decisa dal giudice penale a carico di Ciullo (sent. n. 1460/2014 del Tribunale di Lecce, Seconda Sezione penale, nell'ambito del procedimento n. 218/2011 R.G.T.) sia differente sotto il profilo fenomenico dai fatti accertati dalla Guardia di Finanza da cui ha avuto scaturigine la sanzione amministrativa irrogata al medesimo imputato. Trattasi all'evidenza di medesimo episodio negli aspetti strutturali, oggettivi e soggettivi, sfociato in due filoni d'inchiesta, quella penale conclusasi con l'anzidetta sentenza d'intervenuta prescrizione dei reati, l'altra di natura amministrativa-sanzionatoria oggetto del presente giudizio ancora sub iudice. La questione appare rilevante sul rilievo che l'oggetto dell'incidente di costituzionalita' si riferisce alle norme che priva il giudice della potestas iudicandi, nonche' per l'incidenza attuale e non meramente eventuale che la questione stessa assume nel procedimento a quo, non potendosi fare ricorso ad interpretazioni adeguatrici delle norme impugnate o a letture alternative maggiormente aderenti al precetto costituzionale altrimenti vulnerato, non ricorrendo l'ipotesi della disposizione legislativa c.d. polisensa. Ricorre infine la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' sub iudice a quo. Continuare ad applicare le norme sottoposte ad incidente di costituzionalita' ai casi in cui un precedente giudizio abbia gia' definito la vicenda con pronuncia irrevocabile conduce sostanzialmente a giudicare per due volte il cittadino italiano per il medesimo fatto storico, con disparita' di trattamento per coloro che, al contrario, possono beneficiare della portata dell'art. 649 del codice di procedura penale nelle ipotesi in cui il successivo giudizio a loro carico sia di natura penale e non civile come nel caso in esame.